Da portiere a portiere

45014917_1976744585726816_6342404005871747072_oSto scrivendo dalla mia camera d’albergo presso il Rajamangala National Stadium di Bangkok dove la nazionale thailandese di pallanuoto si allena in pratica tutto l’anno.

Responsabile del settore pallanuoto è Daniele Ferri, pratese d’origine ma residente in Thailandia da 5 anni. Mi ha contattato lo scorso anno per chiedermi se volevo unirmi a lui come allenatrice dei portieri per la durata di un mese. L’invito è stato rinnovato anche quest’anno. Entrambe le volte ho accettato con entusiasmo. Daniele sta portando avanti un progetto di sviluppo della pallanuoto. Con umiltà e dedizione ha raggiunto traguardi mai raggiunti prima dalla nazionale ‘Thai’. Oltre a trovare da subito un’intesa con lui e con il suo modo di lavorare, mi sono trovata bene con le ragazze e i ragazzi. Giovanissimi e motivati. Al momento sto seguendo sei portieri, tre ragazze e tre ragazzi.

Le mie esperienze all’estero sono iniziate grazie a Fabio Conti che mi ha aperto la porta del circuito internazionale convocandomi nel novembre 2017 per affiancarlo – assieme a Teresa Frassinetti – in un collegiale con la nazionale cinese. Bellissimo allenare assieme a loro e altrettanto bello ritrovarmi ad allenare le mie alter ego cinesi: ragazze sopra l’1 e 85 di altezza e molto simili a me fisicamente.

Dal 2016 seguo varie squadre in giro per l’Italia, sempre come allenatrice dei portieri, avrò a breve altri appuntamenti all’estero e sono stata inserita con mio grande piacere da Fabio Conti nello staff della nazionale U15 di Giacomo Grassi.

13064604_1140486749307017_4047615966602353530_oE pensare che ogni volta che mi è stato chiesto in passato se avrei continuato la mia carriera sportiva allenando ho sempre risposto con un NO deciso. Ero convinta di non essere capace e soprattutto di aver esaurito ogni goccia di motivazione assieme alla mia carriera d’atleta. Quando penso a quanto buffo sia il destino ripenso alle parole di un amico: “Non importa quanto tu cerchi di evitare una strada; se sei destinato a percorrerla la vita in qualche modo ti riporterà lì”.

Il fatto è che mi sono accorta di una cosa: quando alleno io sono felice. Perdo la cognizione del tempo. Non solo sento di insegnare qualcosa a livello atletico o tecnico ma sento di passare anche un pezzo di me.

Il ruolo del portiere è un ruolo particolare, diverso. Questo lo dicono in tanti ma in pochi lo sperimentano davvero. Non basta provare un paio di allenamenti in porta per capire la complessità di questo ruolo. Il mondo della pallanuoto è un mondo bello ma piccolo e in generale carente a livello di risorse economiche. I mezzi a disposizione scarseggiano. Per cui spesso ci ritroviamo ad allenarci in vasche piccole, poco profonde, a volte in spazi affollati o orari assurdi. Come biasimare un allenatore che, magari dopo una giornata di lavoro, si trova a lavorare con una squadra in una situazione simile e non trova il tempo di dare la stessa attenzione, che dà al resto della squadra, anche ai portieri?

Come in tutte le relazioni umane il proprio tempo e la propria presenza sono due delle cose più preziose che si possano offrire a una persona. Per quale motivo il rapporto allenatore atleta non dovrebbe fare riferimento a questo meraviglioso esempio? Nella mia carriera d’atleta, prima, e nella mia breve ma intensa carriera di allenatrice, dopo, la prima cosa che ho capito è che quello che manca ai portieri, ancora prima di un allenamento specifico, è proprio la presenza fisica oltre che mentale di un riferimento esterno. Qualcuno che osservi, che dia un feedback, che incoraggi, che misuri, che sproni a fare meglio, che alzi la voce quando serve e che comprenda.

53362991_2512537785484581_7722946850042413056_oQuando alleno attingo senz’altro al mio grande, bellissimo e variegato vissuto d’atleta. Ma non basta. Devo filtrarlo, scomporlo in parti più semplici e comprensibili per chi non ha ancora l’ età e l’esperienza per capire. Devo diversificarlo per chi ha caratteristiche fisiche e atletiche diverse da quelle che avevo io. Ma soprattutto devo essere attenta e presente all’osservazione, al dialogo e all’ascolto. Mi piace entrare in acqua, perché mostrare direttamente è molto più efficace del semplice spiegare e anche perché talvolta mi dimentico di quanto siano faticosi certi esercizi e rinfrescarmi la memoria mi aiuta a non essere eccessivamente esigente e a entrare nei panni di chi sto allenando.

Ho avuto la fortuna di allenare portieri sia maschi che femmine di età diverse, e di diverse nazionalità. E in tutti ho riscontrato lo stesso bisogno di comprensione e di presenza. Ho riscontrato livelli di attenzione altissimi e altrettanti alti livelli di curiosità. La percezione di riuscire in alcuni casi a colmare una mancanza è stata meravigliosa e mi ha caricata di un senso di responsabilità: in qualche modo sento di dover mettere a disposizione di chi sta imparando tutto quello che è stato insegnato a me e quello che ho capito e acquisito nel tempo. La cintura di pesi e la palla medica, per quanto importanti, sono solo uno dei mille mattoni che fanno da fondamenta alla “costruzione” di un portiere.

Ci sono strumenti/spunti altrettanto importanti che a volte trascuriamo:

44905004_1976745132393428_185488247260971008_oIMMAGINAZIONE. Una delle armi più potenti della nostra psiche è l’immaginazione. Nei miei primi allenamenti assieme a Cristiana Conti (la compagna di squadra e allenatrice che più mi ha segnata con parole, insegnamenti ed esempi) una delle cose che lei mi ripeteva più spesso era: “Quando fai un esercizio devi immaginare sempre un’ipotetica azione di gioco. Non svolgere l’esercizio in automatico”. Di questo consiglio ho fatto tesoro. Ed è una frase che ripeto spesso ai giovani portieri. 

CONNESSIONE. Caratteristica classica dei portieri è quella di caricarsi di troppe responsabilità e di sentirsi soli. L’ho fatto io a suo tempo e lo fanno anche i più piccoli. Il portiere si allena da solo ma non gioca da solo. La voce è il mezzo che abbiamo per restare connessi ai compagni di squadra, aiutarli e farci aiutare. Una delle sensazioni più belle che avevo in partita, quando guidavo le mie compagne in difesa, era quella di percepirle quasi come se fossero un prolungamento delle mie braccia. Loro si fidavano della mia voce e io mi fidavo di loro. Questo è un esercizio che non dovrebbe mai mancare: utilizzare la propria voce in allenamento e abituare i propri compagni a seguirla e a fidarsi. La connessione con i propri compagni è qualcosa di magico che si crea nel tempo e non va trascurata. Ho avuto la fortuna di giocare con persone che mi hanno dato molto sotto questo aspetto. Una in particolare mi ha affiancato lungo la maggior parte della mia carriera. Con Teresa ho condiviso la gioia della vittoria e l’amarezza della sconfitta, la camera e la fatica degli allenamenti. La connessione che si è creata durante questo percorso insieme ha arricchito un’amicizia che, sono convinta, non sarebbe mai stata la stessa senza queste esperienze.

IMPERFEZIONE. Per qualche strana ragione la maggior parte degli allenatori parla del proprio portiere definendolo “incostante”. Oserei sostituire questo aggettivo con “umano”. Probabilmente un attaccante che in una partita di campionato “non prende la porta” fa meno danni di un portiere che “non è in giornata”, in entrambi i casi però fermarsi al significato superficiale di queste parole significa colpevolizzare l’atleta e negargli la possibilità di crescere e fare tesoro dei momenti difficili. Nella mia carriera sono stata in molti casi una perfezionista, molto esigente con me stessa e molto attenta alla mia condizione fisica e atletica.

32828447_10216269151109297_5529796571425669120_nLa lezione più stupefacente però l’ho avuta alle qualificazioni olimpiche del 2012 di Trieste. Per una serie di motivi non legati ai miei allenatori sono arrivata alla vigilia del torneo in condizioni pessime. Mi sembrava di galleggiare nel petrolio, le mie gambe erano affaticate. Avevo la sensazione che il mio corpo non mi ascoltasse. Ho trovato la forza di scendere in acqua dando il massimo solo dopo aver accettato di sentirmi imperfetta e vulnerabile. E’ stato difficile ma bellissimo riuscire a colmare quello che mancava a livello fisico con la motivazione, la forza di volontà e l’atteggiamento. Più mi sentivo insicura, più ostentavo sicurezza. Più mi sentivo scarica di gambe e più cercavo di far percepire la mia presenza in porta all’avversario. Mai, neanche per un secondo ho pensato che avremmo fallito. Ma ho dovuto chiedere alle compagne di aiutarmi di più: non ho mai urlato così tanto quanto in quelle partite. Bisogna prepararsi anche a questo: i giorni bui. Ambire alla perfezione è molto pericoloso e controproducente. 

Credo che sia importante dare tutto sempre; in allenamento come in partita, ma dobbiamo ricordarci che siamo imperfetti ed è come riusciamo a reagire alle condizioni peggiori che fa la differenza. Dico sempre ai miei ragazzi: negli ultimi minuti dell’allenamento, quando la fatica annebbia il cervello e si tende a mollare la presa, ecco sono proprio quelli i minuti nei quali si miglioraQuei minuti così faticosi dove è importante accettare il momento sfavorevole e imperfetto, porsi un obiettivo, e riaccendere la miccia sono l’essenza ultima dell’allenamento. Gli attimi più preziosi.

IMPARARE. Nel suo significato più ampio. Un portiere non finisce mai di crescere e di imparare. Sono una fervente sostenitrice del fatto che si può cambiare e migliorare a tutte le età. Se c’è la volontà di farlo. Ho avuto un secondo salto di qualità a 26 anni, nella nazionale di Conti. Assieme al preparatore dei portieri Marco Manzetti ho messo in discussione molti dei gesti tecnici e atletici che ormai avevo acquisito migliorandoli e in alcuni casi modificandoli. Capire che potevo ancora cambiare e migliorare è stata una motivazione enorme. Per questo non credo a chi dice che un portiere adulto non può cambiare o migliorare. Consiglio sempre ai miei atleti di guardare gli altri “colleghi”: si può imparare tantissimo guardando, copiando e sperimentando.

53117765_2512533462151680_871449950985125888_nNon importa se il “collega” ha caratteristiche fisiche o sesso diverso dal proprio. Si può imparare sempre. Ricordo che guardavo spesso Laura Ester della nazionale spagnola. Così piccola, minuta e diversa da me lei faceva e fa affidamento sulla sua posizione perfetta. Come non provare a sperimentare se quella posizione avrebbe potuto essere efficace anche per me? Mi piaceva guardare Frano Vican il portiere croato che ha vinto il mondiale di Melbourne 2007 con la sua tecnica perfetta. Osservavo e non vedevo l’ora di sperimentare e mettere in pratica ciò che mi colpiva di più. Anche ascoltando pareri e consigli di compagne e allenatori diversi si può imparare. E’ fondamentale sperimentare sulla propria pelle e capire se il consiglio può entrare a far parte del proprio bagaglio personale ed essere un’arma in più oppure no. Quello che dico ai miei giovani portieri è che nessun allenatore è portatore di verità assoluta. Io men che meno sicuramente.  Quello che faccio, al di là del condizionamento fisico, è fornire armi e mettere a disposizione la mia esperienza. Sta all’atleta decidere come e se utilizzare quelle armi in partita.

FATICA. La leggenda narra che i portieri non facciano mai fatica. Nella mia esperienza i portieri non fanno fatica se non si allenano alla massima intensità o se il loro allenatore non li mette in condizione di faticare. Punto. Un allenamento senza fatica fisica e mentale non è un allenamento. Cerco sempre di far capire quanto sia importante svolgere ogni esercizio al massimo delle proprie possibilità, mirare costantemente al miglioramento, accogliere la fatica anziché evitarla, percorrere la strada complessa invece che la scorciatoia. Perché in partita non si bara e non esistono scorciatoie: sono il centimetro o il secondo che fanno la differenza nell’arrivare su una palla o meno.

UMILTA’. Per riconoscere i propri errori e capire i propri punti deboli. Farne tesoro e lavorare per migliorare. Una delle frasi che sento pronunciare più spesso dai miei atleti è “non riesco a parare i tiri a schizzo”. Ogni volta mi viene da sorridere perché anch’io avevo un odio viscerale per questo tipo di conclusione. Avere l’umiltà di capire che non esistono formule magiche o segreti tecnici che risolvano il problema nell’arco di un allenamento è la chiave per migliorarsi. C’era una giocatrice spagnola il cui tiro a rimbalzo mi ha perseguitato per molto tempo. Ricordo che, oltre a chiedere alle mie compagne di tirare in modo simile a lei per abituarmi a quel tipo di tiro, immaginavo la traiettoria e il modo in cui io mi dovevo muovere di conseguenza.

Non si impara a parare un tiro a rimbalzo e basta. Si impara a conoscere l’avversario e a capire il valore che ha mezzo secondo in più o in meno quando devo anticipare il rimbalzo di una palla che tocca l’acqua vicino a me o aspettare quello di una palla che tocca l’acqua più distante dalla linea di porta. Umiltà è anche saper riconoscere quando è giusto che l’allenatore ci sostituisca in una partita col nostro compagno, secondo o primo che sia.

12716080_10207308701068318_5697462346107090743_oNel 2011 prima dei mondiali di Shanghai ho subito un’operazione al menisco. Quando mi sono ricongiunta alla squadra, a poco tempo dalla partenza, la mia compagna, Giulia Gorlero, era diventata titolare ed io per la prima volta dopo molto tempo mi sono sentita messa in discussione. Dopo l’amarezza iniziale e la paura di aver perso per sempre il mio posto, visto che Giulia già all’epoca era un’atleta eccezionale, ho cambiato il mio atteggiamento mentale. Il mio mondiale a Shanghai da seconda è stato senz’altro diverso da tutti gli altri ma non per questo meno bello. Ho tifato la mia squadra, mi sono immedesimata in Giulia e nelle sue parate,  e ho gioito e sofferto assieme a lei. Ho capito che il mio ruolo per quanto diverso era importante e speciale allo stesso modo e che il mio atteggiamento poteva influenzare in positivo o in negativo il resto della squadra; per questo mi sentivo responsabile al pari di quando ero titolare nei confronti delle mie compagne.

Una volta tornata in Italia è iniziato uno dei percorsi più belli della mia carriera: quello per riprendermi il mio posto. Niente era scontato. Ma lo volevo più di ogni altra cosa. In quel percorso ho compreso il valore di ogni singolo minuto di allenamento, ho imparato a lasciar andare il superfluo e a concentrarmi sulle cose importanti, ad assumermi più responsabilità e a comunicare di più con le compagne. Fabio Conti mi ha dato fiducia e mi ha rimessa titolare prima dell’Europeo 2012 a Eindhoven dove abbiamo vinto l’oro e la ricordo come una una delle competizioni più emozionanti della mia carriera. Se mi fossi arresa avrei chiuso la mia carriera dopo Shanghai. Invece da un periodo di sconforto è nata una delle lezioni più importanti. 

Non è facile scrivere questo articolo, e condensare tutto ciò che penso, provo o ricordo rispetto alla mia carriera e alla mia attività di allenatrice. Se ho omesso i nomi di molti allenatori o compagne è perché mi sono semplicemente focalizzata sulla parte finale della mia carriera, quella più matura e consapevole. In alcun modo intendo sminuire nessuno tra allenatori o compagne che mi hanno istruita e accompagnata nella mia carriera agonistica. Il mio è un percorso nuovo ma molto familiare perché mi sembra di rivivere tutto da una prospettiva diversa.

24231824_10214872585236023_5252031391219356358_nQuando ho a che fare con i giovani portieri rivedo inevitabilmente una giovane e timida Elena Gigli alle prime armi ed è anche a lei che mi rivolgo quando spiego. A lei vorrei dire che sbagliare va bene basta non trasformarsi nell’errore; che a volte i compagni non hanno la visione d’insieme rispetto a un ruolo così diverso dal proprio e che possono pronunciarsi senza comprendere del tutto; che gli allenamenti in solitudine assumeranno colori diversi con la giusta motivazione; che condividere l’ansia con le compagne aiuta a dimezzarla; che la porta può sembrare grande o piccola a seconda della fiducia nei propri mezzi (Roberto Fiori questa la dedico a te con tutto l’affetto del mondo); che la strada per acquisire certi automatismi è complessa ma bella se si ha la pazienza  e la determinazione di non arrendersi e che spesso è il tiro che sembra il più semplice a essere il più difficile da parare e viceversa.

Non sarei la stessa persona senza il percorso sportivo che ho fatto e non sarei la stessa persona se non avessi giocato in porta. I momenti di solitudine amplificano molte emozioni, in negativo e in positivo. Bisogna trovare il coraggio di affrontare certi lati del proprio carattere e indossare una corazza quando serve. E’ difficile raccogliere la palla dalla rete soprattutto dopo un errore o leggere un articolo di giornale che punta il dito sulla tua prestazione. Ma poi c’è tutto il resto… la palomba presa con la punta delle dita, la frustrazione dell’avversario che non riesce a segnare, la battaglia sull’uomo in meno assieme alle compagne, la vittoria ai rigori dopo una parata, l’uno contro zero che non va in porta, la palla messa nell’angolo dall’avversario che sa di non poter scalfire una difesa perfetta, la sensazione che il tempo si fermi durante la partita e che non ci sia nessuno in piscina oltre a te e la palla.

C’è bisogno, secondo me, di far “sentire” oltre che di spiegare. Quello che vorrei far sentire ai miei giovani allievi è ciò che ho sentito io ai tempi in cui tutto era ancora un sogno: il desiderio di provare quello che le mie compagne più grandi avevano già provato. Il desiderio di arrivare a fare quello che il mio allenatore era certo che potessi arrivare a fare.

“Lo sappiamo tutti: un’ora di lezione può cambiare la vita, imprimere al destino un’altra direzione, sancire per sempre quella che si era solo debolmente già abbozzata. Tutti abbiamo fatto esperienza di cosa può essere un’ora di lezione: visitare un altro luogo, un altro mondo, essere trasportati, catapultati in un altrodove, incontrare l’inatteso, la meraviglia, l’inedito”. (Massimo Recalcati).

Elena Gigli
preparatrice portieri Nazionale U15

 

6 pensieri su “Da portiere a portiere

  1. Fare il portiere è una missione!
    Non è come fare il bomber.
    .
    Quando il bomber sbaglia si impreca alla sfiga
    Quando il portiere sbaglia ci si dispera
    .
    Io sono stato portiere!
    È il ruolo più bello, duro e coraggioso dello sport.
    Per essere portieri bisogna essere matti.
    Un portiere vede oltre la realtà.
    .
    Il portiere è l’Eroe della squadra.
    Quando l’avversario arriva davanti al portiere significa che tutta la squadra ha fallito, e tocca al portiere difendere la bandiera e la maglia prima della inesorabile caduta.
    .
    Non permetterti MAI di criticare un portiere se non sei stato un portiere anche tu, perché dentro alla tua critica ci sta una lama, dentro alla critica di un altro portiere ci sta un consiglio.
    .
    Io adoro i miei portieri di oggi!

    Sono l’ultimo baluardo prima della sconfitta.
    SONO LA MIA BANDIERA!
    [CSS Verona]

    Piace a 1 persona

Lascia un commento