Il coraggio di vincere

Chilometri e chilometri nelle braccia. L’odore del cloro sulla pelle che non va più via se non d’estate lasciando il posto al sale del mare.
Sorrisi, lacrime, sacrifici e opportunità: questa è la mia vita e ha a che fare con lo sport.
Una vita in giro per l’Italia a rincorrere il sogno di giocare in serie A1, perché a Napoli di pallanuoto femminile ce n’era ben poca.

Valigia pronta e si parte. Ci metto dentro sogni, spensieratezza e qualche paura.
La Salerno-Reggio Calabria diventa il tragitto verso la mia meta e calza a pennello come metafora del mio viaggio: panorama mozzafiato, deviazioni e buche ma lì all’orizzonte… il mare.
Ed era un po’ come quando sulla famosa nave di Baricco in “Novecento” il primo la vedeva un pezzo di terra e urlava: l’America!
La mia America era a un passo.
Attraverso lo stretto, un anno a Messina e due a Palermo. Tra il mare cristallino, i cannoli e la diatriba tra arancine ed arancini, affronto il mio primo grande cambiamento.
Da scugnizza e figlia a casa, da più talentuosa in squadra scopro che la vita reale ha tante cose diverse rispetto a quelle che riuscivo a vedere dalla mia campana di vetro. Scopro che il talento da solo non basta e che in lavatrice c’è bisogno di mettere l’ammorbidente per far venire gli accappatoi morbidi come quelli a cui mi aveva abituato mamma.
Lì, nell’Olimpo della pallanuoto, di persone talentuose ce ne erano tante e anche chi aveva meno talento sopperiva a questo gap in maniera impeccabile con l’allenamento e la mentalità. Era proprio quello che mi mancava e su cui non avevo mai lavorato per superficialità, pigrizia o molto più probabilmente paura di non essere all’altezza. Ci metto ben poco a scoprire che dovevo fare di più: più o meno il tempo di attesa per mangiare una buona pizza a Napoli.

Primo allenamento nella terra della Trinacria: nuove compagne, nuove tattiche e nuove gerarchie. Il caso ha voluto che come leader della squadra ci fosse Giusy Malato, campionessa olimpica che con la calottina dell’Orizzonte e dell’Italia ha vinto di tutto e di più.
Le sono bastati tre minuti e qualche manciata di secondi per mettermi in riga. Il suo carisma, il suo fuoco negli occhi e la sua credibilità mi hanno dato quegli stimoli e quelle motivazioni che di sicuro già avevo dentro di me, ma che lei è stata capace di tirar fuori in un nonnulla e soprattutto facendomene prendere piena consapevolezza e facendomi capire che erano necessari per il raggiungimento dei miei sogni.

Ogni allenamento trovava il suo perché, ogni sacrificio aveva il suo perché. I miei limiti, che finalmente riconoscevo, si erano trasformati in opportunità di miglioramento. Non è stato facile, di panchina ne ho fatta parecchia e di botte ne ho prese a bizzeffe.
Ma sapevo che la direzione giusta era quella e quindi ad ogni caduta mi rialzavo più forte. E poi non ero sola. Avevo la mia squadra pronta ad aiutarmi, a incentivarmi e a continuare a bastonarmi nei momenti giusti per spronarmi a dare di più.

Bracciata su bracciata, si migra verso Palermo. Tra storia, cultura, musica e sapori è una delle città che ho più nel cuore. Me ne sono innamorata dal primo momento, da quel primo allenamento in riva al mare. Che quando salti sulla sabbia sembra di portare una zavorra addosso e quando nuoti in mare, l’apparente sensazione di galleggiamento facilitato viene spazzato via dalla difficoltà di contrastare le onde.

Le onde. Quante volte ho guardato le onde del mare di Palermo. Il momento più bello era la notte, con la luna piena e quel silenzio che ti mette in pace con i sensi. Ci andavo spesso a pensare in spiaggia a Mondello, anche in pausa pranzo, tra un allenamento e l’altro. La spiaggia riscaldata dal sole sembrava coccolasse i miei piedi e i miei pensieri e in quel modo riuscivo a concentrarmi sulla partita che avrei affrontato in settimana.

Eppure Palermo mi andava stretta, sentivo che potevo e dovevo spingermi ancora di più. Oltre i miei limiti, le mie paure, le mie convinzioni. Dovevo uscire dalla mia zona di comfort: ecco questo era quello che era diventata per me Palermo: la mia casa. Una città dove si respira Amore in ogni angolo, insieme all’odore di pane e panelle; dove puoi ascoltare la musica napoletana nei pressi della stazione, dove il calcio è una fede come a Napoli, dove puoi fare i bagni a mare da marzo a novembre. Ma Palermo era pure dove mi era concesso tutto, anche sbagliare o abbassare la guardia. Le motivazioni erano scemate e probabilmente non per l’ambiente circostante ma perché stavo riuscendo a capire chi ero davvero e dove volevo arrivare.
Riprendo la valigia, ci tolgo la polvere che si stava posando su, metto in tasca un mucchio di pistacchi e volo a Firenze. Uno striscione durante la Coppa Europea racconta alla perfezione chi eravamo e di cosa eravamo capaci “Scatenate l’inferno!”. Ovviamente accanto alla scritta c’era l’immagine di Dante Alighieri con una calottina numero 10 in testa. Il mio numero su uno striscione. Un’emozione unica. Per correttezza ammetto che in realtà è il numero di Maradona, non il mio. Ma visto che El Pipe De Oro ha deciso di non incantare anche in acqua, mi sono permessa di farlo mio. Per lui l’avrei potuto cambiare: si sa, noi napoletani ma soprattutto noi sportivi napoletani non siamo per niente scaramantici.

A Firenze ero esattamente dovevo volevo e soprattutto dove dovevo essere per realizzare i miei sogni. Una squadra forte, con una mentalità vincente e con dei valori e progetti in linea con i miei. Tra partite in giro tra l’Italia e l’Europa, passando da Roma fino a… Khanty-Mansiysk. Un quarto di finale della Coppa Len giocato in Siberia. Ma cosa potevo mai chiedere di più alla vita? Avevo tutto. La pallanuoto, le amicizie, l’Amore, gli obiettivi e nel frattempo giravo il mondo conoscendo culture, usanze e sapori completamente nuovi.

Eppure, quando meno te l’aspetti la vita ti sorprende e tu non devi farti trovare impreparato. Era appena finito il campionato, si programmava la nuova stagione, ma a 478 chilometri da Firenze mamma inizia la sua battaglia contro un brutto mostro al cervello. Raccolgo in fretta le mie cose, lascio un pezzettino del mio cuore sulla riva dell’Arno e torno a casa, senza nemmeno pensarci un attimo, per vincere la partita più importante della mia prima tifosa. Questo è stato il secondo grande cambiamento della mia vita. Innanzitutto, smetto di giocare a pallanuoto ad alti livelli mentre ero all’apice della mia carriera, ma soprattutto scopro che mamma non è un supereroe. Ma è una combattente ed è la più forte di tutti.
Lo diceva Baccini nel 1990 quando cantava “Le donne di Napoli sono tutte delle mamme le donne di Napoli si gettano tra le fiamme; le donne di Napoli, Dio, ma che bella invenzione: riescono a ridere anche sotto l’alluvione”.
La cantavo tutti giorni, mi dava la carica, e a distanza di un po’ di anni credo ancora che sia perfetta per raccontare di lei.

Ci trasferiamo a Roma per delle cure e nel frattempo mi alleno al Foro Italico con una squadra capitolina. Mi tengo in allenamento soprattutto per ricordarmi quanto sia importante riuscire a focalizzarsi sull’obiettivo, per raggiungerlo.
Mamma vince e con lei vinco anche io. Torniamo a casa, con il cuore carico di gioia, ed io mi trovo di nuovo a dovermi reinventare.

Qui inizia un altro capitolo della mia carriera sportiva e forse il più bello in assoluto perché è collegato intimamente alla mia crescita come giovane donna.
Tra i tentacoli della camorra e le luci delle sirene, a Scampia c’è una piscina. Un’oasi felice per chi vuole contrastare lo stereotipo di una Scampia legata a Gomorra.

Quello che mi offrono era la possibilità di giocare davanti la mia famiglia, i miei amici, la mia Napoli. Un progetto di 3 anni per salire in serie A1. Un progetto che era molto più simile a un sogno utopico che a un obiettivo. Ma nella valigia che ho portato con me da Messina a Firenze e che dividevo con mamma a Roma, ho portato del coraggio. Il coraggio di crederci e di rischiare. Non si può non usare il COR_aggio: al “COR” non si comanda.

Dagli Uffizi alle Vele, dalla “C” aspirata all’odore di rame bruciato, la mia scelta è stata immediata. Dopo aver cominciato a capire che dovevo veicolare i messaggi attraverso il giusto linguaggio, comincio a carburare e a legarmi in maniera viscerale alle mie giovani scugnizze. Il primo anno è di conoscenza, da parte mia e soprattutto delle mie compagne che mi vedevano con un pizzico di diffidenza. Il secondo anno è stato il più bello ed esaltante della mia vita. Eravamo una Squadra con la S maiuscola e con un’allenatrice che ci portava per mano alla vittoria ogni domenica, con umiltà ed entusiasmo.

È durante gli allenamenti che si vede la qualità e lo spessore di una squadra. È durante l’allenamento che capisci dove si può arrivare. A volte l’inferiorità tecnica e tattica può essere sopperita dalla capacità di fare gruppo e di sacrificarsi per l’obiettivo comune. Noi eravamo una Squadra e durante gli allenamenti stringevamo i denti, ci aiutavamo a vicenda e sapevamo esattamente che ognuna di noi avrebbe dato tutto pur di arrivare al traguardo. Lo sport ha la capacità di livellare differenze sociali e d’età, ha la forza di unire le persone in maniera veramente profonda. Noi eravamo una Squadra pronta a esultare insieme ma soprattutto pronta ad asciugarci le lacrime e a ricominciare a lavorare dai nostri errori.

Era il 7 giugno 2015 quando abbiamo regalato a Scampia una storica promozione in serie A1. L’Olimpo della pallanuoto era alle Vele, nella mia Napoli, davanti le mie persone. Un traguardo sportivo dal sapore di rivincita sociale. Un quartiere degradato sempre in prima pagina per la cronaca nera che si ritrovava all’apice dell’eccellenza della pallanuoto italiana. La vittoria della mia squadra è stata anche la mia vittoria. Il mio coraggio di osare e di ricominciare è stato ripagato con la promozione nella massima serie e la cosa più bella era la possibilità di poter condividere questa gioia con loro, le mie meravigliose scugnizze che hanno dato tutto quello che potevano, con il loro cuore, e che hanno imparato, con me, che le cose se le desideri fortemente, se sei capace di lottare per averle e soprattutto il coraggio di prendertele, arrivano. Quando meno te l’aspetti. La vita è fatta così. Ti sorprende di continuo, anche quando non vorresti.

Due anni fa si è ripresentato il mostro a mamma e abbiamo ricominciato la nostra battaglia. Stavolta avevamo più paura perché eravamo consapevoli di essere un po’ più deboli e più vulnerabili. Mamma è una combattente e ancora una volta ha vinto anche se stavolta ne porta addosso le cicatrici. Questa battaglia è stata tosta, soprattutto perché non riuscivamo a capire quale fosse la giusta strada da percorrere e quando ti senti spaesato rischi di andare come il vento. Io ho avuto paura, una terribile paura e non sono stata in grado di gestirla. E così a causa del forte stress e dispiacere mi è scoppiata l’artrite psoriasica. Non riuscire a camminare, non essere utile a mamma, non riuscire a giocare a pallanuoto, è stata durissima. Ci ho messo un po’ di tempo prima di metabolizzare e accettare questa malattia, perché mi ero sempre sentita intoccabile. Nel momento in cui l’ho accettata, la mia vita è cambiata. Di nuovo. E stavolta mi ha fatto ritrovare il sorriso. Dopo mesi di cure, sono tornata in acqua. La sensazione di stare in apnea, fare qualche bracciata e riprendere il pallone giallo mi ha ridato il sorriso. La mia malattia mi ha fatto rendere conto dell’importanza di analizzare e distinguere i limiti. Ci sono quei limiti che quando li superi ti fanno sentire un supereroe perché hai alzato l’asticella di dove puoi spingerti. E poi gli altri, quelli che devi essere brava a non superarli, altrimenti il giorno dopo ne paghi le conseguenze sul tuo corpo e poi è un filo diretto con la testa. Non è facile distinguerli, c’è bisogno di umiltà e consapevolezza. E per fortuna con gli anni e con le esperienze un po’ di maturità l’avevo acquisita. In realtà talmente tanta che nel frattempo ho compiuto 30 anni e sono diventata categoria master over30.

Il 22 luglio 2018 ho vinto lo scudetto italiano con la mia squadra master e insieme alla medaglia d’oro mi sono ripresa la mia vita. Poi ci ho preso gusto e ad agosto ho vinto il bronzo europeo master dopo un campionato entusiasmante e goliardico.
E ora?

Ora porto avanti un progetto di coaching in un’azienda a Milano grazie a tutto quello che ho imparato dalle esperienze della mia vita e soprattutto da quello che mi hanno insegnato le persone che ho incontrato durante il mio viaggio: dalla mia mamma che è una combattente, dalla mia allenatrice che è una guida, da Giusi Malato che è un esempio e dalle mie scugnizze che sono cuore allo stato puro. Continuo a inseguire i miei sogni e a gonfiare la rete la domenica; fisso i miei obiettivi e sono pronta a farmi sorprendere dalla vita senza mai dimenticarmi del mio grande Amore: lo Sport.

Eliana Acampora
(capitano Acquachiara)

NdR. Il racconto di Eliana ha ricevuto una menzione speciale al Concorso Letterario del CONI.

Eliana Acampora riceve il Diploma d’Onore dal Presidente del CONI Malagò per il suo racconto “Il Coraggio di Vincere”

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