Masters, follie e brividi

A Gwangju fa un caldo che ti toglie il respiro, come se ti puntassero in faccia tre o quattro phon. Con l’aria condizionata a palla sono sul letto ad aspettare che arrivi l’ora dell’appuntamento con quella che da circa dieci giorni è la mia squadra. 
Una “nazionale” un po’ stramba, le cuffie di silicone nel riscaldamento sono tutte diverse, ma quando indossiamo la calotta diventiamo uguali, bianche o blu. E un puntino rosso, in porta, che poi sarei io. Russia, Italia, Germania, Costa Rica, non importa da dove veniamo. Quando entriamo in acqua siamo Bologna, siamo Italia. A fare da collante un inglese traballante e quella vecchia storia di vincere ad ogni costo, non importa in che lingua esulti.

Ci giochiamo l’oro contro l’unica squadra con la quale abbiamo pareggiato nel girone preliminare. Siamo concentrate, siamo pronte. Ci buttiamo per il riscaldamento. 
Nella piscina accanto stanno giocando un’altra partita, categoria 65+ maschile: squadra americana vs squadra australiana. Un uomo si sente male, ha un infarto in acqua. Fin da subito la situazione sembra essere davvero grave.
La nostra numero 9, Giulia, esce dall’acqua pronta a fare quello che fa tutti i giorni in un pronto soccorso di Padova, a 9.169 chilometri da Gwangju: il medico. 
Lei e l’allenatore della squadra americana (anche lui medico), sono i primi a prestare soccorso, mentre almeno 20 coreani corrono urlando da una parte all’altra della piscina, senza un apparente senso logico. 
Nessuno parla inglese e non sembrano affatto preparati ad un’emergenza simile. Eppure – cazzo! – è un mondiale MASTER, c’è gente di 70 anni in acqua, come è possibile che non siano preparati all’eventualità di un infarto? Perché non c’è un medico che parli inglese? Perché siamo noi a dover urlare “run run run” al coreano che porta la maschera per la ventilazione? Come mai una nostra compagna con il costume bagnato addosso sta cercando di rianimare un uomo a bordo vasca?

Passano 20 infiniti minuti di massaggio cardiaco, alternato a defibrillatore. L’uomo non si riprende, lo caricano su un’ambulanza e lo portano via. Noi siamo sconvolte mentre vediamo i suoi compagni australiani uscire dall’acqua piangendo. Giulia ha ancora i polsi immersi nel ghiaccio dopo aver tentato la rianimazione quando l’organizzazione ci comunica candidamente che la partita si giocherà lo stesso, ma con un lieve ritardo.

Siamo incredule. Ci rifiutiamo di entrare in acqua. In qualche modo vogliamo protestare per quello che è successo, per l’assoluta disorganizzazione alla quale abbiamo appena assistito. Poteva succedere a chiunque, potrà succedere a chiunque. 
La squadra americana invece vuole giocare, va bene anche subito, lì dove un uomo è praticamente morto. “The show must go on”, ci dicono. Carri armati senza cuore cresciuti a pizzapepperoni.
Anche i delegati Fina ci invitano a giocare. 
Le nostre “mamme” over 40 ci prendono per mano, ci guardano negli occhi e ci dicono “Avete ragione bimbe, ma ora entrate e vincete questa finale. Fatelo per quell’uomo”.

Partiamo male, il primo tempo finisce 3-1. Coraggio piccole italiane, la partita è ancora lunga. Ci buttiamo in acqua, questa volta per davvero. Recuperiamo e le doppiamo fino al 3-6, a metà del terzo tempo. Davanti ognuna si prende le sue responsabilità mentre dietro mi permetto di parare un paio di rigori. Loro sono sfinite, noi siamo a palla. 
L’arbitro a questo punto ferma la partita perché pensa che la giuria non abbia dato le giuste espulsioni alla nostra 7, Liya, bomber di razza e decide di rivedersi l’ultimo tempo per riassegnare gol ed espulsioni. Venti minuti di pausa che fa riposare le americane e ci fa solo innervosire, anche perché Liya viene davvero fatta accomodare in panchina per i tre falli, nonostante lei continui a dire che ne ha presi solo due.

Si ricomincia.
Le americane recuperano i due gol di svantaggio, noi non riusciamo più a segnare e ci ritroviamo a -1 a due minuti dalla fine. Azioni confuse, difendiamo bene ma non riusciamo a metterla dentro. Poi Giulia si inventa un miracolo molto simile a quello che le avevamo visto fare un’ora prima tenendo in vita l’australiano. Missile terra aria nell’angolino alto, a 4 secondi dal termine. 7-7. Si va ai rigori.

Inutile raccontarvi come è andata, perché il finale voi lo conoscete già. Quello che non sapete e che non si sarà visto su youtube dai tanti computer e tablet che ci hanno seguito dall’Italia, sono gli abbracci delle mie compagne quando in sottofondo le americane festeggiano e io con un filo di voce dico loro “mi dispiace, non ce l’ho fatta”. Non sapete del nostro capitano che ci tira fuori una per una e ci dice “vi porto a vincere tutte le medaglie del mondo” o del nostro allenatore che ci abbraccia, ringraziandoci, anche se dovremmo essere noi grate per averci permesso di vivere questa meravigliosa avventura. 

Stamattina abbiamo saputo che il giocatore australiano non ce l’ha fatta, è morto. La sua Squadra oggi è entrata lo stesso in acqua e ha vinto la finale per l’oro.

Una roba da brividi che neanche volendo riesci a raccontare quanta forza ti riesca a dare uno sport come questo. 

Mi sento fortunata, lo sono. Tutte noi lo siamo. Che bellezza aver avuto la possibilità di vincere un mondiale, che bello anche non esserci riuscite. Non subito almeno 😊
Con una medaglia che pesa un sacco e per noi vale oro, prendiamo il pullman che ci porterà a Seul e da lì volo diretto per Roma. Poi ci sparpaglieremo di nuovo in giro per il mondo. Pezzi di cloro che si aggiungono alla mia personale piscina-famiglia. Penso che ieri ho giocato l’ultima partita di pallanuoto della mia vita. Me ne rendo conto solo adesso, mentre Seul si avvicina. Magari può essere solo una pausa. Annuisco tra me e me. Già, una pausa. D’altronde, pare sia già partito il countdown per Fukuoka 2021.

Lisa Riccardi
(portiere Masters Over30)

Un pensiero su “Masters, follie e brividi

  1. Quanti brividi man mano che leggo, ed una lacrima mi scende pensando alla “mia” vice Capitano gialloblù che oltre ad essere una giocatrice è anche un Medico. Una di quelle che ha scelto di dedicare la propria vita a salvare vite umane.
    Come nelle favole, una giocatrice va a salvare un giocatore, accomunati dalla stessa passione per questo Sport fatto di sudore sacrifici e poche glorie.
    Quanto bella è la Pallanuoto!

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